Ribelli d'Europa. Viaggio nelle democrazie illiberali da Visegrad all'Ucraina by Alberto Simoni

Ribelli d'Europa. Viaggio nelle democrazie illiberali da Visegrad all'Ucraina by Alberto Simoni

autore:Alberto Simoni [Simoni, Alberto]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Political Science, International Relations, General, Political Ideologies, Nationalism & Patriotism, Geopolitics
ISBN: 9791280159809
Google: Fcc3zwEACAAJ
editore: Paesi ed.
pubblicato: 2022-10-15T06:57:34+00:00


Si spiega anche con questo aneddoto perché il 16 giugno del 1989 Orbán conquistò un posto nella storia in piazza degli Eroi e perché Tellèr qualche anno dopo scorse in lui il veicolo delle sue idee. La sera prima dell’adunata in piazza degli Eroi, Fidesz aveva organizzato una veglia dinanzi all’ambasciata sovietica, antipasto alla grande cerimonia in memoria di Nagy. Orbán non ci andò, lo aveva anticipato agli amici spiegando che il big bang sarebbe arrivato il giorno dopo. Sapeva già cosa avrebbe combinato all’indomani, ma tenne il segreto ben custodito. C’erano poco più di 20 persone a manifestare davanti ai diplomatici di Mosca, qualche slogan su «russi a casa», e quattro cartelli sparuti.

Alla cerimonia per Nagy c’erano anche le troupe televisive venute dall’America. L’elenco degli oratori era lunghissimo, la contorta e imperscrutabile lingua magiara non aiutava a districarsi. I reporter sembravano puntare l’attenzione su Miklos Vasarhelyi, fra il 1953 e il 1955 addetto stampa di Imre Nagy e ora uomo del movimento democratico e di George Soros, il filantropo delle cause liberali e già allora il più grande investitore per la libertà magiara. Poi spuntò il ventiseienne Orbán, ruppe lo schema (e forse i patti, stando a qualche resoconto non verificabile) e chiese il ritiro totale delle truppe sovietiche dall’Ungheria.

Era la sfida senza ambiguità al potere. I signori della generazione del ’56 sbiancarono, le immagini dei carri che sparavano in Kossuth Square si sovrapponevano nella loro mente alla folla in piazza degli Eroi. Non successe nulla di tutto ciò. Orbán venne lapidato dai media ufficiali, ma lapidandolo lo elevarono a leader. Qualche settimana dopo furono i cittadini della Ddr ad arrivare in Ungheria, dove il 2 maggio su input del ministro degli Esteri Gyula Horn e del premier Miklós Németh – e sempre nello spirito di un riformismo atto a garantirsi la permanenza nelle residenze chic di Buda – si era iniziato a smantellare le recinzioni e gli impianti di sorveglianza lungo il confine con l’Austria.

Il 19 agosto circa 600 tedeschi dell’Est «in vacanza» sul lago Balaton ne approfittarono e si avviarono al punto di frontiera di Sopron. Le sei guardie, còlte di sorpresa, non spararono e lasciarono passare i profughi tedesco-orientali. La breccia nella Cortina di ferro era aperta. Non fu certo Orbán ad aprirla, e nemmeno gli agiografi arriverebbero a sostenere simili cose.

Tuttavia, la vicenda del discorso per Nagy è illuminante nel cogliere il carattere del futuro premier: quella capacità che, spinta agli estremi, diventa ostinazione nella sfida al pensiero dominante.

Una ricetta illiberale per l’Europa

Venticinque anni dopo l’intemerata di piazza degli Eroi, anziché il comunismo il bersaglio delle critiche è diventato il pensiero liberale classico. Nel discorso di Orbán a Tusnàdfürdo i più attenti commentatori ungheresi notarono che alcuni passaggi erano presi da un saggio di Tellér. Vi era un continuo richiamo al regime change, il riferimento alla cultura liberale, la critica della globalizzazione che annacqua i valori identitari e crea un clima di competizione che genera una società feudale 2.0 dove poche corporation hanno la meglio sulla miriade di piccoli e medi borghesi e annichiliscono il senso della nazione.



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